giovedì 18 febbraio 2016

Lettera aperta sul tema della gestazione per altri




Cara G., ho deciso di scriverti questa lettera aperta, per via di un contenuto condiviso su Facebook: la foto di quei due padri, in lacrime, con il loro bambino appena nato. Il papà che lo prende in braccio è a torso nudo, perché ai neonati piace il calore umano. Li rassicura. Nel commento che hai diffuso, egli vien descritto come un mostro che ha appena sottratto l’infante alla madre, sicuramente sfruttata nel suo essere donna, costretta ad “affittare” il suo utero per necessità. La colpa degli adulti è quella di aver “strappato” al capezzolo materno un povero ignaro, per una questione di denaro e presunto egoismo. Nel commento condiviso non hai insultato solo la vicenda umana di quei due padri, ma migliaia di persone Lgbt ed eterosessuali che si riconoscono in certe scelte. E in un certo qual modo hai ferito anche me. E cercherò di spiegarti le ragioni di quello che dico.

Una cosa vorrei ti fosse chiara: quel bambino è nato per una scelta, i due padri hanno deciso di metterlo al mondo. Hanno cercato una portatrice: una donna che, per legge, non deve avere problemi economici, che deve superare rigide valutazioni psicologiche ed essere già madre di figli suoi. Negli Stati Uniti tale pratica è a pagamento (e le cifre versate alla gestante non sono mai quei fantastiliardi millantati da chi, guarda caso, poi dichiara milioni di partecipanti ai vari festival dell’odio contro gay e lesbiche), in Canada invece è gratuita. In entrambi i casi è un atto che fa della donna la padrona del suo corpo. Che dà vita a chi altrimenti non nascerebbe mai. Che permette a un individuo di poter essere, circondato dell’amore di chi lo ha voluto davvero. Dove sta l’egoismo a voler portare al mondo qualcuno a cui donare il proprio affetto?
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mercoledì 10 febbraio 2016

L'infertilità secondaria





In gergo la chiamano infertilità secondaria. Si definisce così una difficoltà a concepire per la seconda volta, dopo che la prima gravidanza è andata a buon fine.
Secondo i CDC americani circa tre milioni e mezzo di donne soffrono di infertilità secondaria.

Quali sono le cause di questo problema? E come si può intervenire?

Ecco una dozzina di cose che è importante sapere sull'infertilità secondaria, senza dimenticare che alla fine ciò che conta è ignorare consigli e pareri non richiesti e condividere l'esperienza con il proprio compagno.

Esempio di infertilità secondaria

Nel 40% dei casi di infertilità si tratta di un problema legato allo sperma, nel 30% l'infertilità è legata a disfunzioni delle ovaie, nel 20% è causata da problemi femminili come endometriosi o tube bloccate e c'è un restante 10% di casi nei quali l'infertilità è inspiegata.

Gli specialisti consigliano generalmente di andare dal medico dopo un anno di tentativi infruttuosi, ma oggi sono concordi nel ritenere che sia meglio rivolgersi allo specialista dopo sei mesi di tentativi, soprattutto se si hanno più di 35 anni.
Probabilmente verrai sottoposta a:
  • una visita generale
  • un esame del sangue per verificare i livelli ormonali
  • un'analisi dello sperma
  • un esame a ultrasuoni per verificare lo stato di salute dell'apparato riproduttivo maschile e femminile
  • un'isterosalpingografia per controllare se le Tube sono bloccate
  • una laparoscopia per diagnosticare un'eventuale endometriosi o fibromi uterini
Qualcosa può essere accaduto dopo la prima gravidanza: una malattia sessualmente trasmessa non diagnosticata può compromettere la fertilità, un trauma o una malattia possono danneggiare le Tube di Fallopio. Molto più spesso di quanto non si creda la responsabilità dell'infertilità secondaria sta nell'età.
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giovedì 4 febbraio 2016

Fertilità, una confusione di fondo








“Come è possibile che io, avendo superato i 40 anni, abbia poche probabilità di ottenere una gravidanza, quando ci sono persone che l’ottengono a 50 anni ed oltre?”: è questa la domanda più frequente che le pazienti rivolgono allo specialista durante la loro prima visita presso un centro di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA). Ed “è di fronte a questa domanda che lo specialista si rende conto del fatto che, nonostante molto si sia già fatto in termini di informazione per sensibilizzare il pubblico rispetto alla strettissima correlazione tra età e fertilità, il livello di informazione non è ancora sufficiente”. 

A sottolineare un ulteriore impegno dal punto divista informativo su questo tema è la dottoressa Maria Giuseppina Picconeri, ginecologa specialista in medicina della riproduzione e direttrice del centro NIKE Medical Center di Roma, durante l’incontro ‘Formazione Informazione e Comunicazione nella PMA’, il 29 gennaio corso presso il ministero della Salute. Nel commentare i dati dell’indagine[1], condotta dal team di ricercatori guidati dalla Picconeri, l’esperta ha evidenziato, inoltre, che “c’è ancora molto da fare sul tema della formazione dei futuri  medici e specialisti per ciò che concerne la medicina della riproduzione”.

Dunque, che il periodo più fertile[2] per una donna sia tra i 20 e i 25 anni e che la fertilità subisca un considerevole calo dai 35 ai 40 per poi subire un ulteriore declino, sembrava un’informazione fosse ormai nota. Numerosi ed autorevoli sono i dibattiti svolti tra “addetti ai lavori”, le campagne di informazione e di sensibilizzazione rivolte al pubblico ed entrambi supportati da eloquenti dati scientifici, sociologici e statistici ed il tutto con notevoli sforzi da parte di società scientifiche, centri di PMA pubblici e privati, istituzioni: eppure sembra che ancora molto ci sia da fare sia in termini di  formazione dei futuri operatori sanitari, sia nel campo dell’informazione pubblica perché lo strettissimo legame tra età della donna e la sua fertilità venga realmente compreso.

MEDICINA DELLA RIPRODUZIONE FUORI DAI PERCORSI FORMATIVI. Dall’indagine emerge innanzitutto che nel percorso formativo degli operatori sanitari non è dato rilievo e dovuta attenzione alla medicina della riproduzione: circa il 70 per cento degli specializzandi, il 60 per cento delle ostetriche e il 30 per cento dei ginecologi ed il 90 per cento degli studenti intervistati ha infatti dichiarato di non aver mai frequentato un reparto di medicina della riproduzione, meno del 20 per cento dei ginecologi ha dichiarato invece di averne frequentato uno per più di un anno. Non deve sorprendere, quindi, che  le risposte ai questi riguardanti la prevenzione e la diagnosi dell’infertilità non siano risultate univoche tra gli operatori del settore ed ancora più importante è la constatazione che a 38 anni dalla nascita della prima bambina con le tecniche di PMA, la preparazione degli studenti di medicina dell’ultimo anno, sembra essere ancora molto confusa e non adeguata alle esigenze delle loro future pazienti.

STUDENTI E SPECIALIZZANDI CONVINTI DI GRAVIDANZE BEN OLTRE I 45 ANNI.  Quasi il 40 per cento tra gli studenti e gli specializzandi intervistati ritiene che nelle donne il concepimento e il completamento della gravidanza spontanea siano possibili, salvo rare eccezioni, fino a ben oltre i 45 anni e che sia possibile attraverso le tecniche di riproduzione assistita spostare in avanti questo limite fino ai 50. Non disponiamo di dati certi rispetto alla percentuale di gravidanze spontanee tra le donne di quest’età ma disponiamo dei dati del registro nazionale della PMA, secondo i quali dopo i 43 anni le probabilità di ottenere una gravidanza omologa (con i propri ovociti) sono estremamente ridotte (intorno al 5 per cento), mentre sono certamente più confortanti le probabilità di ottenerla, ma non senza difficoltà e soprattutto in Italia, ricorrendo all’eterologa (60-70 per cento). 

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