mercoledì 20 gennaio 2016

La storia di "Sfolli": l'intervista







“Mia mamma mi ha insegnato che ci sono due cose che non vanno mai chieste: “Quanti anni hai?” e “quanto guadagni?”.
A mia figlia spiegherò che c’è una terza cosa che non si deve domandare: “A quando un bambino?”.


Cosa significa essere costantemente bombardati da domande riguardanti i figli, quando si sa di non poterne avere?
“La mia fortuna è stata che in quegli anni vivevo in Inghilterra e lavoravo in un ambiente universitario, per certi versi ovattato: i miei colleghi erano proiettati sulla carriera e ai figli ci si pensava molto più in là dei 30 anni. La questione si presentava, però, ogni volta che tornavo in Italia in vacanza: capivo che i miei genitori impazzivano dalla voglia di avere un nipotino e, al contempo, il senso di colpa mi attanagliava perché sapevo che per me e mio marito sarebbe stato difficile, sebbene in quel momento si sapesse soltanto del suo problema, la sindrome di Klineferter, che comporta una totale azoospermia”.
Poi è arrivata anche la diagnosi relativa alla tua infertilità.
“Volevamo provare ad avere un bambino e, consci del problema di “dear husband” (così lo chiama nel suo blog, ndr), ci siamo immediatamente rivolti a una clinica specializzata in PMA (procreazione medicalmente assistita) a Londra. Mancava una settimana al mio 32esimo compleanno ed ecco la mazzata: la mia riserva ovarica era praticamente nulla”.
A quel punto intraprendete il cammino della FIVET.
“I medici erano stati chiari: avevamo una possibilità di successo intorno al 5-10%. In un primo momento avevamo pensato all’adozione, ma poi mi sono detta che dovevo darmi una chance, ricorrendo però a misure forti. Abbiamo usato le mie uova: al secondo tentativo sono rimasta incinta di Gaia, tra lo stupore dei luminari della clinica. Del resto la fecondazione in vitro è una scienza recente, con margini di fallibilità anche nelle previsioni: il primo bimbo è nato nel 1978”.
Durante questa fase della FIVET c’è stato qualcosa che ti ha fatto soffrire?
“In Regno Unito lo Stato ti finanzia la FIVET analizzando tutta una serie di parametri relativi alla sua possibilità di riuscita: be’, la mia contea mi negò il sostegno economico. Una doccia fredda perché significava che per loro ero un caso senza speranze. Per fortuna vivevo a mezzo miglio da un’altra contea, con parametri più flessibili: ripresentai la domanda e venne accettata”.
Quale è stato l’iter della tua FIVET?
“In Inghilterra si muove tutto piuttosto in fretta: si inizia sottoponendosi a una lunga serie di esami (gratuiti) in laparoscopia ginecologica, per verificare eventuali tube chiuse o endometriosi e via dicendo. Dopo cinque mesi è partita la seconda fase, parecchio costosa perché lo Stato mi ha dato circa 5000 sterline per pagare le “pere” di ormoni che mi dovevo iniettare e il seme. Nel mio caso è stato necessario ricorrere a una seconda Fivet perché nascesse Gaia: ho atteso quattro mesi e poi, grazie all’aiuto economico dei miei genitori – lo Stato non ci avrebbe più sovvenzionati – ho iniziato una seconda “raccolta delle uova”. La cosa buffa è che è coincisa con il periodo di Pasqua.

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