giovedì 26 maggio 2016

Quali sono i problemi oggi delle coppie che ricorrono alla PMA?






È caduto il divieto sul numero di embrioni prodotti e l’obbligo all’impianto contemporaneo di tutti quelli prodotti. È caduto il divieto di eterologa e anche quello di accesso alla coppie fertiliportatrici di malattie genetiche e la selezione degli embrioni. E nel frattempo la fecondazione assistita è stata inserita nei Lea, Livelli essenziali di assistenza, almeno così dovrebbe essere. Cosa rimane, viene da chiedersi, che non funziona o potrebbe funzionare meglio oggi nella fecondazione assistita, uno dei temi sentiti dallo scomparso Marco Pannella?
Un percorso lungo e costoso
A suggerire qualche risposta sono, in parte, i dati appena resi noti dalla ricerca Diventare genitori oggi: il punto di vista delle coppie in Pma realizzata dal Censis in collaborazione con la Fondazione Ibsa, che fotografano la situazione dal punto dei vista dei genitori. Da chi alle tecniche di fecondazione assistita è ricorso, e sappiamo, secondo gli ultimi dati disponibili che sono stati in tanti: nel 2013 sono state quasi 90mila le coppie che hanno avuto accesso alle tecniche di Pma (tutte, comprese quelle di primo livello) per un totale di circa 14mila nati vivi.
A leggere i dati raccolti dal Censis appare chiaro che ricorrere alla procreazione assistita è un percorso lungo e costoso. Lungo soprattutto se ci si rivolge alle strutture pubbliche, e costoso – con una media di 4mila euro per chi ha pagato di tasca propria – soprattutto nelle regioni dove è forte la presenza di strutture private, come il Centro e il Sud. E di fatto i problemi amministrativi e di accessibilità sono ancora quelli che pesano maggiormente in materia di procreazione assistita, come hanno spiegato a Wired.it anche due esperti.
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lunedì 18 aprile 2016

Fecondazione assistita: il fattore tempo







"QUELLA che cambia è la prospettiva, e non è certo roba da poco. Finora, infatti, nel campo della procreazione medicalmente assistita (Pma) si è sempre parlato di live birth rate,cioè di percentuali di bambini nati vivi. Certamente un dato importantissimo per le donne che si apprestano a cominciare quel viaggio meraviglioso e distruttivo alla fine del quale può esserci - oppure no - un figlio. Oggi, però, alle donne interessa anche un altro numerino, quello che i medici chiamano Time to pregnancy. Ovvero: quanti tentativi bisogna fare per riuscire a rimanere incinta. Problema importante. Come importante è la domanda successiva, alla quale però non è così facile dare risposte. Ovvero, quando fermarsi? A quanti tentativi ci si può sottoporre prima di gettare la spugna?
Sia chiaro che tutte queste domande si riallacciano sempre al solito problema: si fanno figli troppo tardi e troppo tardi ci si accorge di non poterli avere. Ed è questo il tema che affronta oggi a Roma il "Fertility Forum- New perspectives in Time to pregnancy", organizzato da Merck. L'età media in cui una donna italiana accede alle tecniche di Pma è tra le più alte d'Europa: il 72 per cento ha più di 35 anni. E cresce anche la quota di donne oltre i 40 anni, che si attesta al 31 per cento. I dati - dell'ultimo rapporto del ministero della Salute al Parlamento - indicano pure quello che già tutti sanno, donne ed esperti: più si è anziane biologicamente meno chance si hanno di poter avere un figlio. E infatti su cento cicli di Fivet o Icsi in donne sotto i 34 anni sono state ottenute 28 gravidanze, solo 5 invece in altri cento cicli su donne sopra i 42.

Il fattore tempo. Il cosiddetto fattore tempo diventa allora il punto cruciale. Uno studio appena pubblicato su Fertility & Sterility potrebbe aiutare le donne ad aumentare le possibilità per ciclo. "Nessuno aveva mai provato la doppia stimolazione standard nello stesso ciclo - spiega Filippo Maria Ubaldi, direttore clinico dei centri di medicina della riproduzione Genera e primo autore dello studio - nonostante si sappia che nello stesso ciclo ci sono due o tre ondate follicolari. Avendo a che fare con donne sempre più biologicamente anziane, nel nostro centro l'83 per cento ha più di 35 anni, abbiamo pensato di prelevare i follicoli di ondate diverse in donne con bassa riserva ovarica. Il metodo si può utilizzare quando si prevede di prelevare un numero di ovociti sotto ai sei- otto circa. Con la seconda stimolazione - che si effettua a 5 giorni dal prelievo degli ovociti della prima, con gli stessi farmaci e gli stessi dosaggi - mediamente riusciamo a prelevare lo stesso numero di ovociti della prima. Con la stessa qualità".

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martedì 15 marzo 2016

Social Egg freezing; di cosa si tratta?










"Sono oltre 500 le donne che in Italia hanno scelto di ricorrere a questo intervento che permette di conservare gli ovociti e posticipare il momento della gravidanza. Il costo dell’operazione va dai 2 ai 3mila euro. “Nel nostro Paese c’è molta disinformazione sull’argomento – spiega il dottor Andrea Borini – Questa possibilità viene quasi sempre percepita come uno sfogo egoistico o come il desiderio di prolungare l’adolescenza, ma è una visione maschilista"

“I trent’anni sono stati uno spartiacque. Il lavoro cominciava a funzionare, ma tra mille difficoltà e un futuro incerto. Stessa cosa per la vita sentimentale: una storia lunga, trascinata. Eppure in me cresceva fortissimo il desiderio di maternità, irrealizzabile in quel momento. Sapevo della possibilità di congelare gli ovuli, mi sono informata e ho deciso di farlo. Il mio compagno non condivideva, avevo dei soldi da parte li ho utilizzati per questo”. Giulia, designer milanese, oggi ha 35 anni, il lavoro è sempre precario, il compagno è cambiato, ma i suoi ovociti sono ancora conservati in una banca speciale. “L’operazione mi è costata 3.000 euro, ogni anno pago 300 euro per il deposito. Non sono cifre da niente, ma la speranza di poter diventare madre va oltre ogni ostacolo economico. Non l’ho mai detto ai miei genitori, loro non vedono l’ora di diventare nonni, ma temo non approverebbero”.

“Mi sono sposata a 22 anni, a 35 ho divorziato. Ho avuto altre storie, nessuna andata per il verso giusto. Eppure a un figlio non voglio rinunciare, da bambina sognavo di averne almeno cinque”. Alessandra ha 41 anni. Un anno fa ha scelto di congelare i suoi ovociti, appena entro il limite massimo consentito. “Non ho sofferto durante i trattamenti, è una scelta che mi ha reso più forte e che mi fa sentire libera, anche se è costata qualche sacrificio. Non voglio un figlio a 50 anni, ma così posso permettermi di aspettare ancora un po’”.
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giovedì 18 febbraio 2016

Lettera aperta sul tema della gestazione per altri




Cara G., ho deciso di scriverti questa lettera aperta, per via di un contenuto condiviso su Facebook: la foto di quei due padri, in lacrime, con il loro bambino appena nato. Il papà che lo prende in braccio è a torso nudo, perché ai neonati piace il calore umano. Li rassicura. Nel commento che hai diffuso, egli vien descritto come un mostro che ha appena sottratto l’infante alla madre, sicuramente sfruttata nel suo essere donna, costretta ad “affittare” il suo utero per necessità. La colpa degli adulti è quella di aver “strappato” al capezzolo materno un povero ignaro, per una questione di denaro e presunto egoismo. Nel commento condiviso non hai insultato solo la vicenda umana di quei due padri, ma migliaia di persone Lgbt ed eterosessuali che si riconoscono in certe scelte. E in un certo qual modo hai ferito anche me. E cercherò di spiegarti le ragioni di quello che dico.

Una cosa vorrei ti fosse chiara: quel bambino è nato per una scelta, i due padri hanno deciso di metterlo al mondo. Hanno cercato una portatrice: una donna che, per legge, non deve avere problemi economici, che deve superare rigide valutazioni psicologiche ed essere già madre di figli suoi. Negli Stati Uniti tale pratica è a pagamento (e le cifre versate alla gestante non sono mai quei fantastiliardi millantati da chi, guarda caso, poi dichiara milioni di partecipanti ai vari festival dell’odio contro gay e lesbiche), in Canada invece è gratuita. In entrambi i casi è un atto che fa della donna la padrona del suo corpo. Che dà vita a chi altrimenti non nascerebbe mai. Che permette a un individuo di poter essere, circondato dell’amore di chi lo ha voluto davvero. Dove sta l’egoismo a voler portare al mondo qualcuno a cui donare il proprio affetto?
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mercoledì 10 febbraio 2016

L'infertilità secondaria





In gergo la chiamano infertilità secondaria. Si definisce così una difficoltà a concepire per la seconda volta, dopo che la prima gravidanza è andata a buon fine.
Secondo i CDC americani circa tre milioni e mezzo di donne soffrono di infertilità secondaria.

Quali sono le cause di questo problema? E come si può intervenire?

Ecco una dozzina di cose che è importante sapere sull'infertilità secondaria, senza dimenticare che alla fine ciò che conta è ignorare consigli e pareri non richiesti e condividere l'esperienza con il proprio compagno.

Esempio di infertilità secondaria

Nel 40% dei casi di infertilità si tratta di un problema legato allo sperma, nel 30% l'infertilità è legata a disfunzioni delle ovaie, nel 20% è causata da problemi femminili come endometriosi o tube bloccate e c'è un restante 10% di casi nei quali l'infertilità è inspiegata.

Gli specialisti consigliano generalmente di andare dal medico dopo un anno di tentativi infruttuosi, ma oggi sono concordi nel ritenere che sia meglio rivolgersi allo specialista dopo sei mesi di tentativi, soprattutto se si hanno più di 35 anni.
Probabilmente verrai sottoposta a:
  • una visita generale
  • un esame del sangue per verificare i livelli ormonali
  • un'analisi dello sperma
  • un esame a ultrasuoni per verificare lo stato di salute dell'apparato riproduttivo maschile e femminile
  • un'isterosalpingografia per controllare se le Tube sono bloccate
  • una laparoscopia per diagnosticare un'eventuale endometriosi o fibromi uterini
Qualcosa può essere accaduto dopo la prima gravidanza: una malattia sessualmente trasmessa non diagnosticata può compromettere la fertilità, un trauma o una malattia possono danneggiare le Tube di Fallopio. Molto più spesso di quanto non si creda la responsabilità dell'infertilità secondaria sta nell'età.
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giovedì 4 febbraio 2016

Fertilità, una confusione di fondo








“Come è possibile che io, avendo superato i 40 anni, abbia poche probabilità di ottenere una gravidanza, quando ci sono persone che l’ottengono a 50 anni ed oltre?”: è questa la domanda più frequente che le pazienti rivolgono allo specialista durante la loro prima visita presso un centro di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA). Ed “è di fronte a questa domanda che lo specialista si rende conto del fatto che, nonostante molto si sia già fatto in termini di informazione per sensibilizzare il pubblico rispetto alla strettissima correlazione tra età e fertilità, il livello di informazione non è ancora sufficiente”. 

A sottolineare un ulteriore impegno dal punto divista informativo su questo tema è la dottoressa Maria Giuseppina Picconeri, ginecologa specialista in medicina della riproduzione e direttrice del centro NIKE Medical Center di Roma, durante l’incontro ‘Formazione Informazione e Comunicazione nella PMA’, il 29 gennaio corso presso il ministero della Salute. Nel commentare i dati dell’indagine[1], condotta dal team di ricercatori guidati dalla Picconeri, l’esperta ha evidenziato, inoltre, che “c’è ancora molto da fare sul tema della formazione dei futuri  medici e specialisti per ciò che concerne la medicina della riproduzione”.

Dunque, che il periodo più fertile[2] per una donna sia tra i 20 e i 25 anni e che la fertilità subisca un considerevole calo dai 35 ai 40 per poi subire un ulteriore declino, sembrava un’informazione fosse ormai nota. Numerosi ed autorevoli sono i dibattiti svolti tra “addetti ai lavori”, le campagne di informazione e di sensibilizzazione rivolte al pubblico ed entrambi supportati da eloquenti dati scientifici, sociologici e statistici ed il tutto con notevoli sforzi da parte di società scientifiche, centri di PMA pubblici e privati, istituzioni: eppure sembra che ancora molto ci sia da fare sia in termini di  formazione dei futuri operatori sanitari, sia nel campo dell’informazione pubblica perché lo strettissimo legame tra età della donna e la sua fertilità venga realmente compreso.

MEDICINA DELLA RIPRODUZIONE FUORI DAI PERCORSI FORMATIVI. Dall’indagine emerge innanzitutto che nel percorso formativo degli operatori sanitari non è dato rilievo e dovuta attenzione alla medicina della riproduzione: circa il 70 per cento degli specializzandi, il 60 per cento delle ostetriche e il 30 per cento dei ginecologi ed il 90 per cento degli studenti intervistati ha infatti dichiarato di non aver mai frequentato un reparto di medicina della riproduzione, meno del 20 per cento dei ginecologi ha dichiarato invece di averne frequentato uno per più di un anno. Non deve sorprendere, quindi, che  le risposte ai questi riguardanti la prevenzione e la diagnosi dell’infertilità non siano risultate univoche tra gli operatori del settore ed ancora più importante è la constatazione che a 38 anni dalla nascita della prima bambina con le tecniche di PMA, la preparazione degli studenti di medicina dell’ultimo anno, sembra essere ancora molto confusa e non adeguata alle esigenze delle loro future pazienti.

STUDENTI E SPECIALIZZANDI CONVINTI DI GRAVIDANZE BEN OLTRE I 45 ANNI.  Quasi il 40 per cento tra gli studenti e gli specializzandi intervistati ritiene che nelle donne il concepimento e il completamento della gravidanza spontanea siano possibili, salvo rare eccezioni, fino a ben oltre i 45 anni e che sia possibile attraverso le tecniche di riproduzione assistita spostare in avanti questo limite fino ai 50. Non disponiamo di dati certi rispetto alla percentuale di gravidanze spontanee tra le donne di quest’età ma disponiamo dei dati del registro nazionale della PMA, secondo i quali dopo i 43 anni le probabilità di ottenere una gravidanza omologa (con i propri ovociti) sono estremamente ridotte (intorno al 5 per cento), mentre sono certamente più confortanti le probabilità di ottenerla, ma non senza difficoltà e soprattutto in Italia, ricorrendo all’eterologa (60-70 per cento). 

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venerdì 29 gennaio 2016

Sterilità: è un disagio sociale?







In Italia la sterilità nella coppia è ormai un disagio sociale. Una su cinque non riesce ad avere figli in modo naturale. Solo vent’anni fa la percentuale era la metà. A lanciare l’allarme è il ministero della Salute, che oggi ha presentato il piano nazionale per la fertilità “Difendi la tua fertilità prepara una culla nel tuo futuro”. “L’obiettivo non è invitare gli italiani a fare più figli – ha dichiarato il ministro Beatrice Lorenzin – ma informarli su come proteggere la fertilità nelle fasi della vita, evitando comportamenti che possano metterla a rischio”. Come? Attraverso percorsi formativi rivolti ai medici di famiglia, operatori sanitari e insegnanti. Aumentando i centri di oncofertilità, cioè quelli per la conservazione dei gameti nei pazienti oncologici. E lanciando una campagna di sensibilizzazione su internet e sui social network per arrivare ai più giovani. Il piano inoltre istituisce il Fertility day (una giornata nazionale dedicata alla fertilità) a partire dal 7 maggio 2016. L’infertilità riguarda nel 40 per cento dei casi gli uomini, nel 40 per cento le donne, e nel 20 per cento entrambi. Nel 1970 nei maschi il numero degli spermatozoi era il doppio. E rispetto a 30 anni fa l’età media del concepimento si è alzata di dieci anni in ambo i sessi. Tutti fattori che hanno provocato un crollo delle nascite: 64mila in meno tra il 2008 e il 2013 secondo l’Istat.

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